Chi è Gian Ettore
“Ma non dimenticherò mai da dove sono partito. Mai.”
Mi presento subito. Sono Gian Ettore Gassani, un avvocato. Molti di Voi mi conoscono solo per via delle mie apparizioni televisive, per le tante interviste e rubriche sui giornali o per i miei saggi “I Perplessi Sposi”, “Vi dichiaro divorziati”, “C’eravamo tanto armati” e “La guerra dei Rossi” che hanno riscosso un notevolissimo successo in tutta Italia e per l’importante manuale sulle unioni civili che scrissi per la Giuffrè.
Pochi conoscono la mia storia personale.
Di solito si è portati a pensare che, dietro una affermazione professionale, ci sia stata una strada in discesa, che sia stato tutto facile e scontato.
Posso testimoniare che non è sempre così.
Faccio l’avvocato da più di un quarto di secolo. Ricordo che, fin dai banchi di scuola, avevo sognato di diventare architetto. Mi piaceva molto disegnare, progettare, creare qualcosa. Non volevo seguire le orme di mio padre che era un valente penalista. Non mi piaceva il suo lavoro. Lo trovavo stressante, faticoso, poco appagante. Volevo decidere io della mia vita.
Mentre pensavo al mio futuro tavolo da disegno, restai improvvisamente orfano di mio padre proprio nell’anno in cui ottenni la maturità classica.
Questo immane lutto fu un duro colpo per me. Avevo solo diciotto anni. Mi ero da poco affacciato alla vita.
Quando vidi che lo studio di papà era finito e che chiudeva i battenti, ebbi l’immagine plastica della morte del mio genitore. Avevo perso la mia guida, colui che sarebbe dovuto essere il mio maestro di vita e di professione.
Decisi allora, in onore di mio padre, di iscrivermi alla Facoltà Giurisprudenza della Università “La Sapienza” di Roma, pur non nutrendo all’inizio alcun interesse per il diritto.
Furono anni difficili. Studiavo senza alcuna passione, ma volevo fortemente farcela. Dovevo laurearmi a tutti i costi. Sentivo una forte ansia di riscatto contro il destino. Volevo riaprire lo studio di mio padre. Non volevo che la vita mi mettesse in ginocchio. Sapevo che, in fondo, il destino siamo noi! La fortuna può aiutarci una volta, ma la capacità di arrivare a certi livelli per tutta la vita dipende da quanto noi siamo capaci di investire sui nostri sogni, anche quando il successo è già arrivato.
Dopo la morte di mio padre erano finiti per la mia famiglia i privilegi e l’agiatezza economica di un tempo. Tutto era finito. Anche quanti si erano dichiarati amici di papà, non mossero un dito per aiutarmi. Non sapevo dove sbattere la testa nel mare del dolore e della perenne nostalgia per mio padre.
Disperarsi o piangersi addosso sarebbe stato un suicidio. Inutile vivere costruendosi alibi per i propri insuccessi.
Mi rimboccai le maniche e decisi di pagarmi gli studi lavorando. Scelsi di fare il cameriere in un albergo di Gaeta durante l’estate. Ricordo che fu un’esperienza durissima (perché dovetti rinunciare alle mie vacanze) ma quanto mai utile per capire tanti aspetti della vita. Di sicuro l’aiuto di mia madre Luisa e della mia famiglia fu la mia ancora di salvezza. Ma ero certo che io fossi chiamato a combattere un destino assurdo.
Poi arrivò la laurea. Discussi la tesi in diritto penale “Il principio della personalità nella responsabilità penale”. Conseguita la laurea, quel pezzo di carta, capii che il difficile stava ancora per cominciare, perché non avevo dimostrato ancora niente.
Iniziai la pratica forense pensando alla dolorosa beffa di non poterla fare con mio padre. Furono altri anni difficili. Dalla vuota teoria dell’università passai, da un momento all’altro, alla pratica del tribunale. Poi feci l’esame di avvocato che superai al primo tentativo e finalmente riaprii, con le lacrime agli occhi, lo studio di mio padre.
Ricordo ancora l’emozione di quando fu riaffissa la targa “Studio Legale Gassani” nello stesso punto di dove era stata per anni quella di mio padre.
Più che un figlio d’arte, ero un orfano d’arte. Ma proprio questa condizione mi ha reso affamato e desideroso di giocarmi tutte le mie carte senza lesinare sforzi, senza fermarmi un attimo.
Dovevo ricominciare tutto daccapo. Le spese per mandare avanti lo studio erano davvero elevate per le mie scarse possibilità economiche. Il mio conto corrente era sempre esiguo. Iniziai a lavorare con tanta fatica, tra sfratti, sinistri stradali e qualche recupero del credito. Con queste “causette” riuscivo a mala pena a resistere.
Nei primi due anni di carriera tante volte ero stato tentato dal proposito di cambiare lavoro, di uscire dall’incubo di non essere all’altezza del blasone paterno. Ero sfiduciato e paradossalmente schiacciato dall’ingombrante fantasma di mio padre. Al danno si aggiungeva la beffa.
Poi un giorno, mentre stavo leggendo un giornale (non avendo altro da fare), mi arrivò come per miracolo un caso di malasanità difficile. Me lo aveva affidato una signora che non aveva i soldi per pagarsi un avvocato decente. Accettai l’incarico ad occhi chiusi. Quella era la mia prima occasione per mettermi alla prova.
Dopo un anno di causa in sede penale, riuscii a vincere inaspettatamente il processo contro un agguerrito pool di colleghi che difendevano il medico imputato. La notizia andò sui giornali e, da quel momento, iniziarono ad arrivarmi uno dopo l’altro altri casi di malasanità, tutti con esiti positivi per mia fortuna. Ero uscito dal limbo. Ero diventato finalmente un avvocato vero e con uno studio sempre più organizzato.
Mi innamorai del diritto penale. Fui coinvolto in tanti processi di rilievo.
Ero diventato finalmente sereno investendo saggiamente gran parte dei miei guadagni nel mio studio.
Dopo circa sette anni di onorata carriera, decisi di iscrivermi all’AIAF (Associazione Avvocati per la famiglia e i minori), associazione grazie alla quale iniziai ad amare il diritto di famiglia e delle persone.
Da quel momento non c’è stato convegno o seminario in Italia che io non abbia seguito. Non so quanto avrò speso in viaggi per aggiornarmi continuamente e per conoscere di persona tanti mostri sacri del diritto di famiglia e minorile. Questi sacrifici, queste continue trasferte, furono fondamentali per la mia formazione professionale. Stavo costruendo l’occasione per vivere di luce mia e non più di luce riflessa di mio padre.
Stavo costruendo me stesso con le mie sole forze, senza aiuti e senza eredità forensi.
Ormai ero diventato (e sarò sempre) un penalista prestato al diritto di famiglia.
La mia formazione in diritto penale è stata determinante per la mia carriera perché sostengo che i penalisti siano sicuramente gli avvocati più poliedrici e quelli più capaci, per forma mentis, a muoversi nei meandri del diritto.
E così i consulenti che mi avevano aiutato in una causa di omicidio erano gli stessi di una causa di separazione o divorzio o di un processo penale per reati familiari.
Capii che tante separazioni giudiziali sono accompagnate da processi penali per reati intrafamiliari.
Potevo quindi continuare la mia professione forense in modo completo, come piaceva a me.
Mi sono quindi sentito una sorta di avvocato matrimonialista del tutto particolare, che poteva cimentarsi su ogni e qualunque questione familiare o minorile, sia in sede civile che penale.
Questa è stata la mia grande fortuna che ho costruito negli anni. E se oggi ho uno studio a Roma e l’altro a Milano lo devo alla gavetta e alla solitudine che mi hanno forgiato ed aiutato a non mollare mai.
Nel luglio 2007 mi dimisi dall’AIAF e fondai con un nutrito gruppo di avvocati l’AMI, l’Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani.
Tale scelta derivò dall’ansia di creare un nuovo soggetto associativo che avesse una vocazione multidisciplinare e che fosse attento alle istanze della gente.
All’inizio nessuno credeva nell’AMI. Sembrava un’avventura senza ritorno. Anche tra noi soci serpeggiava un pericoloso pessimismo. Poi l’AMI creò sedi dalle Alpi alla Sicilia iniziando un percorso a dir poco trionfale che è sotto gli occhi di tutti, portando avanti con grande ardore il proprio credo associativo. In poco più di dieci anni abbiamo organizzato 1400 eventi formativi.
La nostra era ed è un’associazione di denuncia e di proposte concrete di riqualificazione del diritto di famiglia e delle persone. La sua neutralità rispetto alla politica è stata provvidenziale.
Ciò ha stuzzicato la curiosità di tutti i mass media nazionali, venendo a crearsi un’esposizione mass-mediatica attorno a noi mai riservata prima a nessun’altra associazione forense del nostro Paese.
Il 25 ottobre 2013 l’AMI ha ottenuto il riconoscimento dal Consiglio Nazionale Forense e l’iscrizione nell’albo delle Associazioni Forensi Specialistiche Maggiormente Rappresentative.
Un traguardo straordinario e prestigioso, forse inimmaginabile che mi ha ripagato dei tanti sacrifici e della mia capacità di osare nella vita.
Oggi sono sereno. La salita è stata lunga e disperata. Credo di avere fatto tutto ciò che occorreva per dare un senso alla mia vita di avvocato, e di orfano d’arte, e per onorare la memoria di un genitore che di sicuro in questi anni non mi ha mai abbandonato.
Amo il mio lavoro, eppure lo iniziai con l’incoscienza di un sognatore.
E forse tutto è andato come doveva perché ho affrontato questa avventura forense senza pretese, senza scorciatoie e senza privilegi da odioso figlio di papà.
Ma non dimenticherò mai da dove sono partito. Mai. Sarebbe gravissimo e ingiusto.
Oggi penso che quella dell’avvocato sia una delle professioni più belle del mondo se svolta con umanità e voglia di studiare sempre, senza mai cullarsi sugli allori. Ma soprattutto ho capito che un conto è essere semplicemente iscritti all’albo degli avvocati, tutt’altro è essere avvocati e indossare la toga con onore e orgoglio.
I miei fortunatissimi saggi “I Perplessi Sposi” (Aliberti Editore), “Vi dichiaro divorziati”, “C’eravamo tanto armati” e “La guerra dei Rossi” (Diarkos Editore) sono libri che mi appartengono intimamente.
Parlano del mio tormento, della mia solitudine di avvocato e dei miei quotidiani disagi di uomo e padre alle prese con le più disperate vicende familiari.
Per tutto ciò che non ho potuto scrivere qui parla il mio curriculum e il mio impegno di professionista su tutto il territorio nazionale e all’estero.
Grazie di cuore per avermi letto.
Gian Ettore Gassani